Sibillini: l’anello di cresta sulla Val di Bove.

L’uscita invernale del gruppo. Doveva essere. Ci si è provato più volte ma le condizioni meteo l’hanno rimandata di più di un mese. E il gruppo, tutto, non c’era nel momento decisivo. L’orgoglio di marchigiano, del padrone di casa fiero di mostrare i propri gioielli mi ha immerso nel ruolo di guida che mi è stato assegnato. Con me Luca ha subito un’alzataccia alle 3 di mattina mentre Alessandro ed Elena hanno preferito arrivare il giorno prima e passare la notte all’Hotel Felicita. Da Roma un viaggio regolare ci ha permesso di arrivare con largo anticipo. Nonostante una leggera nevicata del giorno precedente avesse steso sui tornanti in salita verso Frontignano uno strato infido di ghiaccio che la temperatura di -8 ha reso particolarmente vetroso alle 6 e 30 parcheggiamo davanti all’Hotel e buttiamo letteralmente dal letto la nostra coppia. Mai partenza per una escursione è stata più comoda. All’interno della veranda di accesso all’hotel ci siamo preparati e vestiti al riparo dai morsi feroci del gelo. Un caffè al bar dell’hotel ha fatto il resto. Alle 7 e 30 eravamo tutti pronti per partire. Abbiamo avvisato i proprietari dell’albergo della nostra meta per una nota di sicurezza in più. Il sentiero inizia a lato dell’hotel, si infila subito all’interno del bosco, un bosco ancora magico per la recente debole nevicata. Non avevo bisogno di letture di carta o di riflessioni. I ricordi del percorso, anche se battuto in versione estiva erano particolarmente vivi dentro di me. Una ventina di minuti per attraversare il magico bosco e raggiungiamo l’attacco della salita al vallone del Bove, dove il percorso inizia ad inerpicarsi tra le creste della Croce del Bove e del Bicco. La neve non è ghiacciata ma lo strato è basso. Procediamo spediti anche se con un po’ di affanno per via della pendenza. Il cielo è sempre più blu e la croce in cresta si staglia nitida nell’azzurro. Lo spigolo del Bove è imponente, ricorda particolari delle Dolomiti. Lentamente ci inerpichiamo verso il vallone che ci si apre davanti lentamente; ma è solo quando prendiamo a tagliare il pendio verso la sinistra su per la pagina ampia del Bove Nord che cominciamo a scorgere tutta la sorprendente vastità dell’intero vallone fin sotto le ripidissime pareti del ciclo glaciale del Bove Sud e del Bicco. E’ interamente ricoperto di neve il circo glaciale più bello dei Sibillini. Le pareti a chiudere il vallone sono ripidissime, vergini di una neve recente, candida immacolata; Il Bicco spaventa quasi per le sue creste sporte nel vuoto e i suoi spigoli infidi che ci fanno desistere immediatamente dal chiudere il giro scendendo appunto da queste creste all’interno del vallone. Con un occhio sempre teso verso questo splendido scenario prendiamo a tagliare i pendii seguendo le linee dettate dalla montagna. Un traverso comodo sul taglio del sentiero fino a raggiungere una spalletta che sale con pendenza modesta verso il Bove Nord. La prendiamo a salire mentre il vento comincia a soffiare sempre più insistente e freddo. Luca vola davanti a noi senza scegliere più traiettorie comode; fila diretto verso la vetta. Elena e Alessandro arrancano dietro alle prese con un pendenza non eccessiva ma resa infida dalla prima presenza di ghiaccio. Montano i ramponi, si sentono più sicuri. Filo tagliando i fianchi della montagna con il mio fardello di pensieri. Ero sulle mie montagne ma una tona stonata mi riportava all’estate precedente quando salivo gli stessi pendii alla ricerca di un equilibrio compromesso e che proprio nelle arie di casa ricercavo disperatamente. Era una nota stonata che sapeva di fredda coincidenza. Li sulle mie montagne assaporavo aria di sconfitta e forse di non ritorno. Comunque salivo; passo dopo passo, pensiero dopo pensiero, tristezza dopo tristezza e arrivavo alla cresta ampia da dove lo sguardo spaziava verso i versanti più orientali dei Sibillini. E l’emozione di sempre quando il mondo si offre a tuoi occhi, la davanti, esplodevano le creste che dal Rotondo portano con linea continua sul Pizzo Tre Vescovi, su Berro e dietro, sulla piramide del Priora e con una salto sulla forra della Gola dell’Infernaccio sulla Sibilla. Un trionfo di candide creste e vette. Luca è li che urla al cielo il suo stupore, le braccia al cielo e il sorriso stampato in viso. Ancora poco da salire sulle ampie creste a raggiungere la prima delle due vette del Bove, qualla Nord; mentre il vento affievoliva la sua spinta e il sole accecava e scaldava sempre di più. Alle 11 e 10 siamo lassù, preceduti di venti minuti dal solito Luca. Le mie Marche sono la sotto, imbiancate a chiazze dalla neve del giorno precedente. Anche il San Vicino, la mia porta fantastica verso la montagna, ha il trapezio sommitale leggermente imbiancato. Ma la costa non si vede. Nubi lontane e una leggera caligine non mi portano a casa. Fotografiamo tutto, noi e il mondo magnifico. Sappiamo fin da quel momento che sarà solo un modo per ricordare. I nostro occhi in quel momento sono catturati da tanti, troppi panorami infiniti. Ci sentiamo immensi e immersi nell’immenso. Tutte le creste si uniscono, si diramano, le segui e sei sul Bicco, continui con la fantasia e scendi poi Sali, tagli e sei sulla Sibilla. Che magnifico colpo d’occhio, che magnifiche montagne i Sibillini. Ogni volta le amo di più. Ripartiamo per conquistarci tutto l’anello del Bove. Scendiamo sulle ampie creste e saliamo di nuovo. Pochi dislivelli a rendere ora più agevole il nostro avanzare. Luca è sempre la davanti. Fila inarrestabile, è già sul tetto dei veccchi impianti. Si gode già il sole mentre noi lentamente sfiliamo sulle pendici del vallone del Bove. Lo fotografiamo da ogni angolo. Tutto ci deve rimanere. Poi arrivamo anche noi; prima colpiti dal gioco dei ghiacci che hanno immerlettao e resi poetici anche i resti devastanti e deturpanti dei vecchi impianti. Poi colpiti dalla immensità della forra dell’Infernaccio che separa violentemente la Priora dalla Sibilla e poi ancora sbalorditi dalla vastità del versante sud del gruppo fino al Vettore, fino alla conca incassata della Gardosa che sale al lago di Pilato. Dietro a fare da quinta una infinità di montagne; più basse, ignote e poi più alte, La Laga e poi in fondo il Velino inconfondibile piramide e poi a ovest il Terminillo come fosse dietro l’angolo di casa. Mi spreco nelle descrizioni dei nomi delle montagne, ma dubito che mi seguano e soprattutto dubito che siano interessati. Mi tengo dentro i miei entusiasmi; forse do troppa enfasi a queste mie montagne. Ma non mi importa; per me sono le più belle, le più vaste, le più uniche per la serie infinita di creste che le unisce tutte come fossero tanti camminamenti progettati da Dio per stimolare la nostra infinita curiosità. Ogni volta penso che i Sibillini, con questa, mi abbiano dato tutto di loro. L’ho pensato quest’estate e sbagliavo; chissà se sbaglio anche questa volta? Chissà se avrò davanti ancora motivi di stupore verso queste mie amate montagne? Certo è che lo spettacolo di oggi è di una candida e pacifica vastità. Un universo che ti resta dentro, che rivivi nei ricordi, nelle foto, che ti sembra impossibile di aver vissuto quando sei di nuovo lontano. Attimi. Momenti che cerchi di tenere stretto, di vivere, di allungare finchè puoi, ma momenti che passano. E siamo a salire la vetta del Bove Sud. Solo le 12 e 15. Accolti la folate di un vento di nuovo gelido che sale dalle coste ovest della montagna. Il tempo di godere dei vuoti dei precipizi del vallone che dei letterali principi di congelamento ci spingono ad una autentica fuga. Siamo già a scendere precipitosamente e siamo già nei chiassosi mondi sottostanti delle piste da sci. Musica ad altissimo volume, gente che urla. Fino a pochi minuti prima c’era solo il sibilo del vento o il silenzio. Che rimane da fare? Mi rifiuto di mischiarmi al marasma degli ululanti sciatori. Convinco tutti, senza dovermi troppo impegnare, a scendere con la seggiovia. Portoghesi d’alta quota aprofittiamo dello “strappo” e in una ventina di minuti siamo già riposati dalla lunghissima seduta, al piazzale dell’hotel Felicita. E’ presto, sono le 14 e 20; decidiamo di goderci la cucina del posto e ci abbandoniamo al caldo del ristorante dell’albergo in una gustosa salsicciata tra amici. Un po’ di risate, le guance che si colorano di rosso per il contrasto col freddo esterno (siamo partiti la mattina con -8 e siamo tornati che la temperatura era rimasta di 3 gradi sotto zero!!). Il tempo di acquistare 2 guide dei miei monti e scivoliamo sui tornanti verso casa. So che sarà un ritorno triste. Sento che queste montagne così care mi stanno parlando. Il tempo delle attese, degli indugi e degli errori sta terminando. Tornerò in questi posti, tornerò a cavalcare queste creste; spero senza le ombre di adesso nel cuore; spero con l’essenza di un nuovo uomo. Sibillini cari, da sempre, in qualche maniera, crocevia della mia vita.